La Mirada del Otro - The Naked EyeRegia:Vicente ArandaSceneggiatura: Álvaro del Amo da un racconto di Fernando G.DelgadoFotografia: Flavio Martínez Labiano a.e.c.Musica: José NietoInterpreti: Laura Morante, José Coronado, Miguel Ángel GarcíaJuanjo Puigcorbé, Sancho Gracia, Blanca Apilanez, Alonso Caparrós, Miguel Bosé, Ana Obregón.Formato: 35 mm.Durata: 97Provenienza: SpagnaAnno: 1997Produzione: Andrés Vicente GómezApparso alla Berlinale e in programma a Cannes.Velenosa, arrapante, morbosa, viziosa, calpestata, umiliata, vinta. Sono alcuni degli aggettivi che si sprecano nel film di Aranda per descrivere la figura di una donna presa nel vortice delleterna dicotomia vittima/carnefice, trasposta allinterno di una personalità multipla femminile; una mantide, che per riconoscere un proprio ruolo, poi risolto affrettatamente con una maternità, si affida alle confessioni di un diario virtuale, freddissimo e nientaffatto erotico e tantomeno sensuale, nonostante che vedere in faccia lanimale che si porta dentro (come da unintervista rilasciata da Laura Morante, capace di mediare leccesso di provocazione arcaica, proveniente forse dal romanzo) sia lobiettivo della donna emancipata senza paura del proprio desiderio. Ciò rende più interessante il film, perché riesce a trattare largomento senza indulgere a concessioni al voyeurismo del pubblico, né descrivendo false passioni; pur fondando il senso della pellicola sullo sguardo chiamato dalla protagonista stessa a spiare il proprio intimo, non meno del proprio corpo.Questa è la componente più innovativa: a tratti i pensieri della donna sono affidati quasi in modo ventriloquo al "gufo", la macchina giapponese che compila senza metodo un "maledetto diario", come si dice nel prologo, esternato con voce off per rimanere in tema di confessione fuori campo. Le sequenze si dipanano tra intuizioni talvolta piacevoli, come la lunga sequenza in cui Begoña respinge le avances del capo tacendo, ma proponendo le proprie stilettate attraverso limmagine che il gufo ritrasmette direttamente dai suoi pensieri, diventando unanima sintetica (quella che a lei è negata), ben diversa dallo specchio che restituisce movimenti opposti e quindi non le serve per scrutarsi, come invece fa il "gufo" a cominciare con il corpo, che "non è un pianeta remoto, a me sconosciuto, ma colonizzato dai miei amanti"; mentre risultano fastidiose altre più ingenue caratterizzazioni, quali possono essere la eterna manica sinistra lasciata distrattamente scivolare giù a mostrare una spalla (ridicolaggine indisponente), o la macchietta del pervertito magnaccia, emanazione del male, degno di unoperetta da due soldi, come anche lo stereotipo di orgia da malebolge, in cui sembra immergersi come per un rito sacrificale la donna inquieta ed esacerbata, che riversa nella sfrenata pratica sessuale la ricerca di unuscita da una condizione di amara insoddisfazione, nonostante -o forse a causa di- una condizione di privilegio economico, che pare accomunare tutti i personaggi dotati di auto e moto potenti e costose, appartamenti da sogno, arredati con oggetti di design raffinato.Un aspetto poco apprezzabile è il tentativo di far somigliare il plot ad una terapia psicanalitica senza in realtà attenersi al dettato di queste pratiche: in questo sarebbe aiutata dalle caratteristiche del gufo, che concentra immagine, suono, parola scritta, una commistione altamente esplosiva per ottenere lintento enunciato allinizio da Begoña, esperta di statistiche (cioè da una donna che dovrebbe scardinare i segreti altrui): "Non voglio conoscermi, voglio essere conosciuta". E questo le riuscirà di ottenerlo: a partire dal verdetto iniziale al pranzo di Natale, secondo il quale nelle parole della sorella (ex irreconciliata con una famiglia da opus dei) il ribelle è un malato. La crescita del suo personaggio attraverso linferno della sodomizzazione la condurrà a conseguire una parvenza di pace, sotto la cui apparente calma scalpita lirrequietezza, che la porterà a mettere alla prova unennesima volta il giovanissimo marito Daniel. Ma alla fine acquisirà la consapevolezza di essere votata alla solitudine, e persino Elio, che laccetterebbe reduce da qualsiasi perversione, comprende la sua difficoltà a vivere con altri, perché ella diventa consapevole che lo sguardo superficiale e diffidente degli altri rischia di rendere volgare la sua libertà di comportamenti.E proprio lepilogo dà limpressione di essere raffazzonato e poco credibile, visti i precedenti episodi: il riso irrefrenabile e nervoso durante la cerimonia laica del matrimonio, la lucida diagnosi dei devoti e orribili familiari ("quelli non si sentono in colpa, credono di essere addirittura loro a perdonarmi"), le provocazioni e latteggiamento disinibito durante la festa di Santiago (a Miguel Bosé in un ruolo cammeo è affidata la battuta migliore del film: "È bella la nostalgia di ciò che non è mai accaduto"), non sembrano consentire una evoluzione del personaggio come quella proposta. Invece è pregevole il fatto che, come fin dallinizio tutto sembra debba passare attraverso il corpo, così alla fine proprio attraverso la completa immersione del corpo nella passione più irrefrenabile e la duplicazione delle azioni carnali eseguite dal suo corpo giunge attraverso quelle immagini proposte ai suoi due amanti più importanti (e dunque attraverso i loro sguardi) a risultare consapevole di sé. Un po come il mito di Atteone e Diana, rivisitato da Klossowski: tramite lo sguardo di Atteone, la nudità di Diana, pur preservandosi intatta e pura ("innocente", dice di sé Begoña), viene a conoscenza del turbamento amoroso senza contaminarsi; allo stesso modo anche Begoña dalle reazioni dei due uomini alle immagini proposte dal gufo (uno squid meno coinvolgente e innovativo di Strange Days) trova una pacificazione nel riconoscimento della sua natura e si mantiene pura grazie soprattutto alla volontà di vivere fino in fondo il desiderio del suo corpo. E questo messaggio si poteva indovinare nella prolessi, che la ritrae alle prese col suo primo amante, ormai sessantacinquenne, che la idolatra nel quadro vecchio di vent'anni, al quale viene demandato il compito di fissare il momento in cui offrì la sua verginità alla passione: decisamente barocca linquadratura del dipinto incorniciato da candele, ma abbastanza efficace nel tentativo di comunicare il messaggio che Aranda ripete forse un po troppe volte: licona della bellezza può intrappolare una sana sessualità: infatti gli unici momenti in cui si narra un orgasmo goduto a pieno sono quelli nel ricordo di Elio, che ritorna indietro di anni per ritrovare il "vulcano " di sesso sregolato e libero che era Begoña.
Guardando alle tante edizioni passate, quale è stato finora il destino dei film premiati? La vostra scelta ha favorito una presenza maggiore sulle piattaforme digitali o addirittura in sala, magari con il doppiaggio italiano?
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Ernesto de Martino viene considerato il fondatore dell'etnografia italiana. Egli fu indubbiamente un innovatore e promotore in questo campo, l'etnografia visiva demartiniana si radica nel bel mezzo di una pratica etnografica di ampio spessore, che costituì un fatto nuovo all'interno del contesto disciplinare italiano, così come si presentava dopo anni di ricerca demologica e di etnologia fascista. Lo studioso fu il primo a praticare in Italia, direttamente e in una prospettiva pluridisciplinare, un'etnografia di terreno, secondo un modello originale, conforme tuttavia ad alcune regole basilari della disciplina. Lavorò nel Mezzogiorno continentale per un decennio dal '49 al '59 circa concentrando la propria attenzione su Tricarico, prima in modo relativamente sistematico, su ampie aree della Lucania, poi su alcuni paesi del Salento e sulla cappella di San Paolo a Galatina, infine. Nello stesso lasso di tempo compì escursioni anche in altre zone della Puglia e in alcuni centri della Calabria, lavorandovi però in modo sporadico e con intenti prevalentemente comparativi, rispetto al materia raccolto nei luoghi elettivi della sua ricerca, mentre negli ultimi anni di vita compì sopralluoghi in Sardegna.Il fieldwork demartiniano, che si caratterizza peraltro per una altissima capacità d'intuizione e di messa in relazione e per una rigorosa attenzione filologica, postula soggiorni brevi, reiterati, spezzettati, inframmezzati da molte incombenze, accademiche, scientifiche, culturali, politiche, personali; il massiccio ricorso a informatori di parte, e di parte politica, spesso non diretti protagonisti delle vicende. Su un altro versante l'inchiesta etnografica demartiniana si connota per la sua dimensione collettiva e pluridisciplinare, per l'impiego dei mezzi audiovisivi ai fini della raccolta dei dati, per l'intersezione di logiche ed elementi del tutto estranei alla specifica situazione di ricerca (tecnici RAI e raccolta di canti popolari nell'ambito dell'indagine sul lutto e il cordoglio ad esempio), per il frequente ricorso a ricostruzioni artificiali delle situazioni indagate. Anche la formazione dell'equipe di ricerca, che de Martino pioneristicamente promosse, rispondeva più alla regola del caso piuttosto che a un organico e sistematico criterio di rilevazione; l'assistente sociale e lo psichiatra così vi erano inclusi, lo storico o il sociologo no. Sembrerebbe un anti-manuale, spregiudicato, trasgressivo, della disciplina. Niente distanziamento, estraniazione, immersione, niente imparzialità, tensione verso l'oggettività, sistematicità, continuità. Malgrado egli fosse, poi, deontologicamente ineccepibile, all'interno del set etnografico potevano insistere presenze estranee, oggetti estranianti, pratiche ibride. Quanto appena esposto, è frutto di una precisa idea della disciplina e del lavoro di ricerca a essa connesso: il criterio antropologico della presa di distanza, dell'alterità rispetto a quanto si osserva e si studia, era da de Martino considerato implausibile oltre che eticamente e politicamente doloroso; egli studiava un mondo di cui si sentiva parte, pur se parte socialmente privilegiata, e considerava la distanza che lo separava dai braccianti di Tricarico o dalla tarantate di Galatina segno di una divaricazione storica inaccettabile, piuttosto che concreta occasione di conoscenza e verifica. Poetiche e politiche della ricerca demartiniana portavano dunque verso la confusione e l'identificazione di soggetti e oggetti, verso il superamente della divaricazione esistente fra chi fa e scrive la storia e chi la subisce e se ne propone come vivente documentoParte cospicua dell'etnografia demartiniana, è audiovisiva, poggia sulle registrazioni audiomagnetiche, sul film e soprattutto sulla fotografia. Per soffermarsi sinteticamente sul contesti visivo de Martino operò nelle sue ricerche nel Mezzogiorno italiano con Zavattini, Pinna e Gilardi. Ma si servì pure delle immagini di Andrè Martin che lo introdussero tra l'altro all'approccio del tarantismo, ed ebbe contatti soprattutto negli anni 50 con Cagnetta, il quale ha prodotto un'estesa documentazione, quasi del tutto inedita, e poi con Carpitella anch'egli uso a servirsi della macchina fotografica come taccuino di appunti.La notevole messe documentaria raccolta, non fu conservata dall'etnologo ma presso i collaboratori o gli enti finanziatori delle campagne. Così per avere un quadro attendibile della raccolta di de Martino bisogna considerare quanto è presente oltre che nel suo archivio anche in quelli degli studiosi sopra citati, con l'aggiunta di Annabella Rossi, all'accademia di Santa Ceciclia, alla cineteca nazionale e al museo nazionale di arti e tradizioni popolari. 2ff7e9595c
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